Le prime attestazioni conosciute di un interesse “scientifico” per le antichità della città si devono a due medici eruditi – Antonio Guainerio e Vincenzo Malacarne – che, venuti ad Acqui in periodi storici assai lontani fra loro, rispettivamente nella prima metà del XV e nella seconda metà del XVIII secolo, con lo scopo di studiare le proprietà medicamentose delle locali acque termali, rimasero molto colpiti dalla monumentalità dei resti archeologici che ancora si ergevano nell’abitato e dalla ricchezza delle scoperte che, con una certa frequenza, si effettuavano nel sottosuolo della città, tanto da farne oggetto dei loro studi eruditi e da lasciarne memoria scritta nelle loro opere.
Al 1728 si data la notizia di importanti scoperte archeologiche effettuate nell’abitato: in quell’anno, infatti, in occasione degli scavi condotti per deviare dal centro della città il corso del torrente Medrio, venne alla luce, per usare l’espressione presente nelle fonti del tempo, una “prodigiosa quantità di rottami”: rottami di natura, purtroppo, non meglio specificata.
I principali ritrovamenti archeologici, di cui ci rimane qualche informazione più circostanziata, vennero però effettuati nel corso del XIX secolo in occasione, come spesso avviene in questi casi, di importanti lavori pubblici, realizzati in aree esterne rispetto al perimetro della città romana. Essi riguardarono soprattutto contesti di carattere funerario, che hanno, da sempre, attirato maggiormente l’attenzione e la curiosità degli scopritori – cosa che spesso li ha preservati dalla distruzione – per la loro stessa natura e la ricchezza dei materiali portati alla luce.
Si ricordano, quindi, le numerose tombe rinvenute, in due diversi momenti, nell’area orientale della città (lungo quello che era, in età romana, il tracciato della via Aemilia Scauri, riportata alla luce, per ampi tratti, proprio in queste circostanze):nel 1881, in occasione degli sbancamenti per la costruzione del nuovo ospedale e nel 1896, durante i lavori per la linea ferroviaria Acqui-Ovada-Genova. Ritrovamenti archeologici significativi ma del tutto privi, per noi, di notizie circa il contesto di provenienza – comunque sempre sepolcrale – furono quelli effettuati, nel 1813, dal conte Probo Blesi nei terreni di sua proprietà situati in località San Lazzaro, confluiti in seguito – insieme agli altri reperti della ricca collezione di famiglia – nella raccolta del notaio Ernesto Giuseppe Maggiora Vergano di Asti e andati, infine, dispersi dopo che il Comune di Asti rifiutò l’acquisto della collezione.
Sorte pressoché identica toccò anche alla raccolta messa assieme durante molti anni di ricerche dal marchese Vittorio Scati, benemerito degli studi storico-archeologici acquesi – e comprendente, in larga misura, proprio i materiali rinvenuti negli scavi delle tombe sopra ricordate – solo in piccola parte giunti, dopo la morte del proprietario, al Museo di Antichità di Torino. La scoperta più importante compiuta nel XIX secolo, però, è quella della fontana romana e delle annesse strutture portate alla luce nel 1898 nell’attuale piazza della Bollente, durante lo scavo di una lunga trincea per la realizzazione di un condotto fognario: l’eccezionalità della scoperta permise di effettuare un’indagine abbastanza approfondita nonché di realizzare dei rilievi grafici che ci permettono di avere un’idea meno vaga del complesso e di avanzare ipotesi fondate circa la sua ricostruzione (anche grazie ad ulteriori interventi di ricerca nell’area realizzati nel 1987-88).
Nel corso del Novecento i rinvenimenti si sono moltiplicati, a causa dei numerosi e pesanti interventi di scavo compiuti in molti settori del centro urbano. Non sono purtroppo mancate perdite e distruzioni, anche molto gravi: si ricordano, fra gli altri, il grave stato di abbandono e degrado in cui la piscina romana rinvenuta in corso Bagni nel 1913 rimase per parecchi anni dopo la sua scoperta, la dispersione completa dei corredi tombali ritrovati in via Mariscotti negli anni ’30, le precarie condizioni in cui furono recuperati – spesso senza alcuna documentazione scientifica – i materiali archeologici venuti in luce durante la fase d’intensa attività edilizia degli anni ’60 e ’70 e, soprattutto, la distruzione delle strutture architettoniche riferibili all’anfiteatro romano rinvenute nel 1966, sempre in occasione di lavori edilizi, nella zona tra via Monteverde, corso Bagni e via Ghione.
Fortunatamente, accanto a questi episodi, si possono però anche ricordare i molti importanti ritrovamenti compiuti in quegli anni che ci permettono di avere oggi un quadro più generale, seppur ancora incompleto, dell’abitato antico. Rammentiamo gli ampi settori esplorati della necropoli romana che occupava la fascia sud-orientale della città, le strutture pertinenti a edifici privati romani trovate in corso Roma, via Carducci, via Gramsci e via Cassino, i resti di un grande edificio templare messi in luce in via Galeazzo-corso Cavour, il complesso di strutture scavate in piazza Conciliazione. Gli ultimi anni hanno infine visto un susseguirsi di scoperte di eccezionale importanza per la conoscenza della città antica: sono stati infatti individuati, tra l’altro, i resti del teatro romano, situato sul colle affacciato su piazza della Bollente, quelli della piazza del foro, nell’area compresa tra corso Cavour e piazza Addolorata mentre un intero isolato residenziale di età imperiale è stato riportato alla luce nella zona di via Maggiorino Ferraris.